DIRITTO D'AUTORE


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5 aprile 2013

32/13. Avvocato-mediatore: annullamento dell’art. 55 bis del Codice deontologico forense (Osservatorio Mediazione Civile n. 32/2013)


=> TAR Roma, Lazio, 29 ottobre 2012, n. 8858

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio annulla il primo comma dell'art. 55 bis del Codice deontologico forense laddove prevede che l’avvocato, che svolga la funzione di mediatore, deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e la previsione del regolamento dell'organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del presente Codice. Il TAR osserva che non rileva la circostanza che allo stato non sussiste alcun contrasto tra le norme primarie e quella impugnata perché nessuna disposizione normativa ha previsto che sono compatibili le attività precluse dall'art. 55 bis, essendo possibili interventi successivi che modifichino tali norme nel senso di contenere previsioni opposte a quelle del Codice Deontologico.

La pronuncia in parola concerne l’impugnazione della delibera assunta dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 5 luglio 2011, con la quale è stato modificato il Codice Deontologico Forense, introducendo l'art. 55 bis (nonché la relativa circolare dello stesso Consiglio 23 settembre 2011, n. 24-C-2011).

Il TAR rileva al riguardo che:
  • il Codice Deontologico nel sistema delle fonti è certamente di rango subordinato alla normativa primaria in materia di conciliazione; esso non ha dunque la forza di prevalere sulle norme primarie con lo stesso contrastanti;
  • le previsioni del Codice Deontologico hanno natura di fonte meramente integrativa dei precetti normativi (1).
Inoltre, il TAR osserva quanto segue.
  1. Diversa sarebbe stata, invece, la conclusione se la disposizione impugnata avesse previsto l'obbligo dell'avvocato, tenuto all'osservanza delle regole del proprio Codice Deontologico, di rinunciare all'attività di mediazione ove, in relazione a questa, la normativa primaria avesse introdotto previsioni contrastanti con il Codice.
  2. L’eventuale violazione delle regole introdotte dall'art. 55 bis, così come di qualsiasi altra disposizione del Codice Deontologico, non si riverbera sull'attività esercitata dall'avvocato-mediatore in sede di mediazione o in un'aula di giustizia, ma ha riflessi solo sul piano disciplinare.
 
(1) Si veda in questo senso
Cass. n. 17004/11, Cass. S.U. n. 14617/10 e Cass. n. 15852/09.
  
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 32/2013

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
29 ottobre 2012, n. 8858
Sez. Terza Quater
Sentenza

…omissis…

FATTO

1. Con atto notificato in data 21 novembre 2011 e depositato il successivo 7 dicembre, i ricorrenti - tutti avvocati iscritti agli ordini professionali di appartenenza e mediatori abilitati o accreditati nell'ambito dell'attività finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali ai sensi del d.lgs. 14 maggio 2010, n. 28 nonché avvocati soci o associati o condividenti i locali di studio con colleghi mediatori abilitati - impugnano la delibera assunta dal Consiglio Nazionale Forense (d'ora in poi, CNF) nella seduta del 5 luglio 2011, con la quale è stato modificato il Codice Deontologico Forense, introducendo l'art. 55 bis, nonché la relativa circolare dello stesso Consiglio 23 settembre 2011, n. 24-C-2011.

Parte ricorrente espone, in fatto, che il CNF ha disciplinato, con il nuovo art. 55 bis, lo svolgimento dell'attività di mediazione da parte degli avvocati portando sostanziali modifiche al Codice Deontologico Forense. Tali disposizioni regolano altresì l'attività svolta dagli avvocati che rivestono la qualità di soci, associati o si limitano a dividere i locali con colleghi che svolgono attività di mediatori. Il citato art. 55 bis: a) ai canoni primo, secondo e quarto introduce regole concernenti requisiti dell'attività di mediazione svolta dall'avvocato (dovere di competenza, dovere di evitare situazioni di incompatibilità e limitazioni all'individuazione della sede dell'organismo di mediazione); b) al canone terzo disciplina l'attività svolta dall'avvocato successivamente all'espletamento di un incarico di mediazione.

2. Avverso la predetta disciplina contenuta nell'art. 55 bis parte ricorrente è insorta deducendo:

a) Violazione di legge con riferimento all'art. 60, l. n. 69 del 2009 e al d.lgs. n. 28 del 2010, con particolare riferimento agli artt. 3 e 14 - Violazione di norma regolamentare con particolare riferimento al D.M. n. 180 del 2010 e al D.M. n. 145 del 2011 - Difetto assoluto di attribuzione - Eccesso di potere per genericità.
L'art. 55 bis è illegittimo nella parte in cui prevede che l'avvocato, che svolge la funzione di mediatore, deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e la previsione del regolamento dell'organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del Codice Deontologico. Tale norma impone, infatti, all'avvocato-mediatore di subordinare il rispetto di disposizioni di fonte primaria e regolamentare, quali quelle che disciplinano l'attività di mediazione, alla preventiva verifica di compatibilità delle stesse con quanto previsto dal Codice Deontologico Forense e dispone di fatto la loro disapplicazione nel caso di eventuale contrasto con quest'ultimo. L'art. 55 bis è quindi nullo perché adottato in carenza assoluta di potere, avendo il CNF chiesto all'avvocato, che svolge funzioni di mediatore, di disapplicare o addirittura violare norme di fonte primaria ovvero coperte da fonte primaria per rispettare il Codice Deontologico.

b) Violazione di legge con riferimento all'art. 60, l. n. 69 del 2009 e al d.lgs. n. 28 del 2010, con particolare riferimento agli artt. 3 e 14 - Violazione di norma regolamentare con particolare riferimento al D.M. n. 180 del 2010 e al D.M. n. 145 del 2011 - Difetto assoluto di attribuzione.
I canoni primo e secondo dell'art. 55 bis sono illegittimi perché emanati in aperta violazione delle disposizioni di legge e di natura regolamentare che disciplinano la materia della mediazione. Solo il regolamento che disciplina l'attività di mediazione può, infatti, prevedere casi d'incompatibilità.

c) Violazione di legge con riferimento all'art. 60, l. n. 69 del 2009 e al d.lgs. n. 28 del 2010, con particolare riferimento agli artt. 3 e 14 - Violazione di norma regolamentare con particolare riferimento al D.M. n. 180 del 2010 e al D.M. n. 145 del 2011 - Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, irragionevolezza, contraddittorietà e illogicità, travisamento dei fatti, difetto di presupposti.
È illegittima la previsione secondo cui l'avvocato non deve assumere funzioni di mediatore in difetto di adeguata competenza.

d) Violazione di legge con riferimento all'art. 60, l. n. 69 del 2009 e al d.lgs. n. 28 del 2010, con particolare riferimento agli artt. 3 e 14 - Violazione di norma regolamentare con particolare riferimento al D.M. n. 180 del 2010 e al D.M. n. 145 del 2011 - Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, irragionevolezza, contraddittorietà e illogicità, travisamento dei fatti, difetto di presupposti.
È illegittima per illogicità la prescrizione codicistica che inibisce all'avvocato, che ha svolto l'incarico di mediatore, d'intrattenere rapporti professionali con una delle parti se non sono decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento.

e) Violazione di legge con riferimento all'art. 60, l. n. 69 del 2009 e al d.lgs. n. 28 del 2010, con particolare riferimento agli artt. 3 e 14 - Violazione di norma regolamentare con particolare riferimento al D.M. n. 180 del 2010 e al D.M. n. 145 del 2011 - Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, irragionevolezza, contraddittorietà e illogicità.
È illegittima - per violazione dei principi di eguaglianza, imparzialità e proporzionalità - l'estensione dei divieti anche ai soci, associati e ai professionisti che esercitano negli stessi locali dell'avvocato abilitato alla mediazione. Tali disposizioni violano anche gli obblighi di riservatezza e di trattamento dei dati personali perché obbligano i mediatori a comunicare costantemente ai predetti soggetti i nomi delle parti che ad essi si sono rivolti per l'espletamento di incarichi di mediazione, con evidente detrimento delle esigenze di tutela della riservatezza ed in aperta violazione con quanto previsto dall'art. 9, d.lgs. n. 28 del 2010.

f) Violazione di legge con riferimento all'art. 60, l. n. 69 del 2009 e al d.lgs. n. 28 del 2010, con particolare riferimento agli artt. 3 e 14 - Violazione di norma regolamentare con particolare riferimento al D.M. n. 180 del 2010 e al D.M. n. 145 del 2011 - Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, irragionevolezza, contraddittorietà e illogicità.
Illegittimamente l'art. 55 bis colpisce e condiziona anche coloro che non hanno svolto attività di mediazione.

g) Violazione dei principi di libera concorrenza - Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, irragionevolezza, contraddittorietà e illogicità.
La norma, che viola i principi comunitari di libera concorrenza, è abnorme e in contrasto con l'intenzione del legislatore di privilegiare la categoria professionale degli avvocati atteso che essi, in ragione della pregressa esperienza nelle discipline giuridiche di loro competenza, sono in grado, più di ogni altro professionista, di assolvere le funzioni di mediatore.

3. Si è costituito in giudizio il Consiglio Nazionale Forense, che ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso, mentre nel merito ne ha sostenuto l'infondatezza.

4. Si sono costituiti in giudizio il Ministero della giustizia e l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per resistere al ricorso, ma senza espletare alcuna attività difensiva.

5. Con memorie depositate alla vigilia dell'udienza di discussione le parti costituite hanno ribadito le rispettive tesi difensive.

6. Alla Camera di consiglio del 10 gennaio 2011, sull'accordo delle parti, l'esame dell'istanza di sospensione cautelare è stato abbinato al merito.

7. All'udienza del 24 ottobre 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, sono impugnate le norme dell'art. 55 bis del Codice Deontologico Forense, introdotto dal Consiglio Nazionale Forense (d'ora in poi, CNF) con delibera del 5 luglio 2011, nella parte in cui vieta all'avvocato di assumere funzioni di mediatore se ha avuto rapporti professionali con una delle parti negli ultimi due anni o se una delle parti è o è stata assistita, anche in questo caso negli ultimi due anni, da un professionista di lui socio o con lui associato o che eserciti l'attività forense negli stessi locali, nonché di intrattenere rapporti professionali con una delle parti se non è passato un biennio dalla definizione del procedimento di mediazione e se l'oggetto dell'attività non è diverso da quello del procedimento stesso.

Nel costituirsi in giudizio il CNF ha sollevato l'eccezione di inammissibilità del ricorso, sul rilievo che la disposizione impugnata non è immediatamente lesiva, divenendolo solo quando al professionista, che non abbia osservato le disposizioni dettate, verrà comminata la sanzione. L'eccezione è priva di pregio atteso che le disposizioni, alle quali il professionista deve obbligatoriamente attenersi, hanno portata immediatamente lesiva della sua sfera giuridica, non solo perché la sanzione è conseguenza certa e ineludibile dell'inosservanza di dette regole, ma soprattutto perché l'avvocato, che è rispettoso del Codice Deontologico e non intende violarlo, subisce immediatamente le limitazioni imposte dal CNF. Correttamente, dunque, i professionisti ricorrenti, che non intendono violare le disposizioni impartite sino a quando le stesse esistono, seguono la via legale dell'impugnazione, chiedendo al giudice naturalmente competente di espungerle dal Codice.

Al fine del decidere è opportuno ricordare la definizione che l'art. 1, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, adottato in attuazione dell'art. 60, d.lgs. 18 giugno 2009, n. 69, dà della mediazione, e cioè "l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa". A sottolineare ancora l'importanza dell'imparzialità del mediatore è il comma 2 del successivo art. 3, secondo cui il regolamento scelto dalle parti e applicato al procedimento di mediazione deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento e modalità di nomina del mediatore che ne assicurino l'imparzialità e l'idoneità al corretto e sollecito espletamento dell'incarico. È dunque di palese evidenza il carattere di imparzialità che deve connotare la figura del mediatore e, quindi, la differenza che intercorre tra questa attività e quella svolta dall'avvocato. Mentre quest'ultimo è il professionista che tutela gli interessi esclusivi della parte che lo ha nominato, il mediatore aiuta due parti a raggiungere un accordo amichevole o conciliativo; è neutrale, non curando, al contrario dell'avvocato, gli interessi dell'una o dell'altra. Lo stesso d.lgs. n. 28 del 2010 individua (art. 14) una serie di preclusioni, a carico del mediatore, di carattere generale e che prescindono dall'attività professionale eventualmente svolta (ad esempio, di avvocato). Al mediatore e ai suoi ausiliari è fatto divieto di assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati, fatta eccezione per quelli strettamente inerenti alla prestazione dell'opera o del servizio; è fatto divieto anche di percepire compensi direttamente dalle parti. Al mediatore è fatto obbligo, tra l'altro, di sottoscrivere, per ciascun affare per il quale è designato, una dichiarazione di imparzialità secondo le formule previste dal regolamento di procedura applicabile, e di informare immediatamente l'organismo e le parti delle ragioni di possibile pregiudizio all'imparzialità nello svolgimento della mediazione.
Il CNF, con l'art. 55 bis del Codice Deontologico, ha inteso tutelare e garantire tale imparzialità. E lo ha fatto individuando a priori alcune situazioni che, se si verificassero, sarebbero in grado di minarla. Con il suo intervento l'organo in questione ha dunque svolto una necessaria e doverosa attività di prevenzione di possibili futuri abusi, agevolati - come anche il comune buon senso suggerisce - dall'abbinamento in caso alla stessa persona di due professioni che, come si è detto, si pongono in assoluta contrasto non solo per la diversa attività svolta (l'avvocato è uomo di parte, il mediatore è uomo di pace), ma anche perché ciascuna della due toglie spazio all'altra, sicché il contemporaneo esercizio delle due da parte dello stesso soggetto pone all'organo di controllo problemi di non poco momento.
Rileva il Collegio che si tratta di una necessità che il Consiglio dell'Ordine ha giustamente avvertito in considerazione della differenza strutturale che, come chiarito, caratterizza le due professioni. In altri termini, preso atto della scelta legislativa di consentire anche agli avvocati di svolgere attività di mediazione - scelta che in questa sede non è dato sindacare - il CNF ha dovuto dettare le regole alle quali l'avvocato, che intende affiancare alla propria attività professionale di difensore di una delle parti litiganti anche quella di mediatore, si deve attenere per evitare l'ingenerarsi di un conflitto che ridonderebbe negativamente sulla sua figura e a discapito degli utenti delle prestazioni.
Pienamente da condividere è dunque l'affermazione del CNF nei propri scritti difensivi, secondo cui la scelta del legislatore di consentire all'avvocato di esercitare anche l'attività di mediatore - nonostante la sua radicale differenza rispetto a quella forense - ha comportato l'insorgere di problematiche di assoluto rilievo con conseguente dovere per gli organismi professionali competenti di provvedere affinché, sul piano dei comportamenti concreti, l'esercizio da parte dello stesso soggetto di professioni aventi obiettivi radicalmente contrastanti non dia luogo a condotte disciplinarmente sanzionabili.
Parimenti condivisibile è quindi anche l'assunto di parte ricorrente secondo cui la mediazione è professione diversa e separata da quella forense; ritiene però il Collegio che, allorché a svolgere tale professione è un avvocato, è corretto e, anzi, doveroso che il soggetto istituzionalmente deputato a rappresentare l'intera classe forense e a tutelarne l'immagine, ponga regole alle quali l'avvocato deve attendersi perché il cumulo delle due prestazioni professionali, così ontologicamente diverse tra loro, non finisca per influire negativamente sull'immagine che l'avvocato deve offrire di sé stesso e della funzione che è chiamato a svolgere. Legittima è dunque la preoccupazione del CNF di salvaguardare la dignità, la correttezza e la trasparenza di comportamento che non solo il singolo utente ma l'opinione pubblica in generale ha ragione di pretendere da chi svolge l'attività di avvocato e che sono suscettibili di essere inquinati da un uso strumentale dell'attività di mediazione per l'acquisizione per via traversa di vantaggi economici sul piano della professione forense.

Quanto poi alla competenza del CNF ad individuare gli impugnati limiti, è da rilevare che il Consiglio, nell'introdurre nel Codice Deontologico forense l'art. 55 bis, non ha affatto preteso di sostituire il legislatore nei definire i requisiti tecnico-professionali che deve possedere il soggetto che intende intraprendere la nuova professione di conciliatore, ma si è responsabilmente preoccupato di indicare le condotte che l'avvocato deve tenere, nel rispetto delle regole che presiedono all'attività forense, se decide di svolgere anche la nuova professione. In effetti il Consiglio non è affatto intervenuto, con le sue prescrizioni, sulle norme che regolano l'attività di mediazione, ma si è giustamente preoccupato di creare, con le sue prescrizioni, le condizioni che consentano all'avvocato di esercitare anche la nuova professione nel rispetto dei principi fondamentali dettati a tutela di quella forense, rendendo questa effettivamente compatibile con l'altra.
Né si può ritiene che il CNF, con le sue prescrizioni, abbia illegittimamente invaso un settore già normato dagli organi competenti. Destinatario delle prescrizioni del Consiglio è infatti solo l'avvocato, che ha scelto di fare anche il mediatore; la normativa richiamata dal Consiglio e quella che esso ha introdotto ad integrazione della precedente, sempre di sua paternità, è soltanto quella che regola l'attività forense; l'avvocato, che intende continuare a svolgerla, è obbligato a rispettarla anche quando esercita una nuova professione, che non è solo quella di mediatore, ma potrebbe anche essere d'insegnante di materie giuridiche nelle scuole professionali, di docente negli istituti universitari, di amministratore delegato di società, di consigliere di società, ecc.

Due ultime annotazioni di carattere generale sembra al Collegio utile fare, prima di passare all'esame dei singoli motivi di ricorso.
La prima è che l'eventuale violazione delle regole introdotte dall'art. 55 bis, così come di qualsiasi altra disposizione del Codice Deontologico, non si riverbera sull'attività esercitata dall'avvocato-mediatore in sede di mediazione o in un'aula di giustizia, ma ha riflessi solo sul piano disciplinare. E ciò è rilevante agli effetti di ben individuare e circoscrivere la portata dei poteri esercitati dal CNF con l'introduzione dell'art. 55 bis.
La seconda è che, per evitare di essere assoggettato a tali regole, l'avvocato può sempre scegliere di cancellarsi dall'albo e di svolgere solo l'attività di mediatore (che, è bene ricordare, può essere espletata anche da chi non è avvocato), facendo venire meno, in radice, la possibilità di commistione tra le due attività e l'obbligo di osservare le regole dettata dal CNF.

2. Tutto ciò chiarito, si può passare all'esame del merito facendo applicazione, per decidere i diversi motivi di ricorso, dei principi richiamati sub 1.

Con il primo motivo si censura l'art. 55 bis del Codice Deontologico nella parte in cui prevede che "l'avvocato, che svolga la funzione di mediatore, deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e la previsione del regolamento dell'organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del presente Codice". In altri termini si chiede all'avvocato-mediatore, in caso di contrasto tra le disposizioni del Codice e quelle del d.lgs. n. 28 del 2010 e del d.m. 18 ottobre 2010, n. 180, di dare priorità alle prime, in spregio delle seconde. Ad avviso di parte ricorrente tale norma impone, infatti, all'avvocato-mediatore di subordinare il rispetto di disposizioni di fonte legale e regolamentare alla preventiva verifica di compatibilità delle stesse con quanto previsto dal Codice Deontologico Forense, imponendo la disapplicazione delle prime nel caso di eventuale contrasto con il secondo.

Il motivo è fondato.

Nonostante la non felice formulazione della prescrizione, questa deve essere letta proprio nel senso prospettato da parte ricorrente, e cioè che "le previsioni del regolamento dell'organismo di mediazione" devono essere rispettate dall'avvocato che svolge funzione di mediatore "nei limiti in cui (id est, se e in quanto) dette previsioni non contrastino con quelle del presente Codice". La lettura testuale della norma non può portare a diversa conclusione, con conseguente sua illegittimità. Ed invero, il Codice Deontologico - che nel sistema delle fonti è certamente di rango subordinato alla normativa primaria in materia di conciliazione - non ha la forza di prevalere sulle norme primarie con lo stesso contrastanti. Come chiarito dalla Corte di cassazione (sez. VI, 4 agosto 2011, n. 17004; s.u. 17 giugno 2010, n. 14617; id. 7 luglio 2009, n. 15852) le previsioni del Codice Deontologico hanno natura di fonte meramente integrativa dei precetti normativi. Né rileva la circostanza che allo stato non sussiste alcun contrasto tra le norme primarie e quella impugnata perché nessuna disposizione normativa ha previsto che sono compatibili le attività precluse dall'art. 55 bis, essendo possibili interventi successivi che modifichino tali norme nel senso di contenere previsioni opposte a quelle del Codice Deontologico.
Diversa sarebbe stata, invece, la conclusione se la disposizione impugnata avesse previsto l'obbligo dell'avvocato, tenuto all'osservanza delle regole del proprio Codice Deontologico, di rinunciare all'attività di mediazione ove, in relazione a questa, la normativa primaria avesse introdotto previsioni contrastanti con il Codice.

3. Con i motivi secondo, terzo e quarto si censurano i canoni primo e secondo dell'art. 55 bis.
Il primo canone prevede che "l'avvocato non deve assumere funzioni di mediatore in difetto di adeguata competenza". Il Collegio prescinde dal verificare l'interesse ad impugnare siffatta disposizione, quasi che parte ricorrente volesse eliminare un ostacolo che si frappone alla possibilità per l'avvocato di accettare mediazioni pur nella consapevolezza di non essere in grado, per le specifiche competenze richieste, di offrire un adeguato servizio. La legittimità di tale norma appare infatti evidente leggendo la speculare disposizione dettata dall'art. 12 dello stesso Codice, secondo cui "L'avvocato non deve accettare incarichi che sappia di non poter svolgere con adeguata competenza".

4. Il secondo canone prevede che "Non può assumere la funzione di mediatore l'avvocato: a) che abbia in corso o abbia avuto negli ultimi due anni rapporti professionali con una delle parti; b) quando una delle parti sia assistita o sia stata assistita negli ultimi due anni da professionista di lui socio o con lui associato ovvero che eserciti negli stessi locali". Si tratta dunque di limiti imposti all'avvocato nell'assunzione di incarichi di mediatore. Tali previsioni, ad avviso di parte ricorrente, sono nulle per carenza assoluta di potere.

Anche la seconda censura dedotta con il secondo motivo di ricorso non è suscettibile di positiva valutazione.

Come si è detto sub 1, connotato principale della professione del mediatore è l'indipendenza. Il regolamento previsto dalla normativa primaria, al quale quest'ultima affida il compito di fissare le cause di incompatibilità del mediatore, non è di ostacolo all'individuazione, da parte dei singoli Consigli Nazionali, di ulteriori ipotesi che, in relazione alla specificità della professione forense, rendono inopportuno lo svolgimento dell'incarico di mediatore. In altri termini, la disciplina delle incompatibilità dettata dal regolamento non esaurisce tutte le ipotesi ed è di competenza dei singoli Consigli, nell'esercizio dei compiti loro demandati dall'ordinamento, tutelare, tra l'altro, l'immagine dei professionisti che rappresentano.

Né va trascurato che l'art. 60, comma 3, lett. r), l. n. 69 del 2009 chiedeva espressamente che, nell'esercizio della delega, si prevedesse "nel rispetto del Codice Deontologico, un regime di incompatibilità tale da garantire la neutralità, l'indipendenza e l'imparzialità del conciliatore nello svolgimento delle due funzioni", così significando che le disposizioni della normativa primaria si integrano con quelle specifiche dettate, in relazione alla singola professione, dal relativo Codice Deontologico.

5. Il canone terzo - che inibisce all'avvocato, che ha svolto l'incarico di mediatore, di intrattenere rapporti professionali con una delle parti se non sono decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento - è censurato per irragionevolezza non essendovi, ad avviso di parte ricorrente, ragione alcuna per una tale inibizione.

Anche questa censura è priva di pregio.

Le inibizioni previste dal canone terzo, così come del resto quella dettata dal precedente canone secondo, fondano la propria ratio sulla necessità di prevenire qualsiasi comportamento che faccia venire meno il connotato dell'indipendenza propria del mediatore. Così, quindi, è legittima l'inibizione all'avvocato di svolgere attività di mediatore se ha in corso o abbia avuto negli ultimi due anni rapporti professionali con una delle parti (canone secondo, lett. a), e ciò per l'evidente necessità di evitare che in un secondo momento, e cioé in sede di mediazione, trovandosi di fronte ad un soggetto che è stato proprio cliente, non riesca a garantire del tutto l'imparzialità; parimenti, è legittima l'inibizione all'avvocato, che ha espletato funzioni di mediatore, di intrattenere rapporti professionali con una delle parti se non siano decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento di mediazione o se l'oggetto dell'attività non sia diverso da quello del procedimento stesso (canone terzo, lett. a e b), e ciò per evitare che l'attività di mediatore esercitata sia stata condizionata (e dunque non sia stata del tutto imparziale) dalla volontà di procurarsi futuri clienti o ancora, che il mediatore non abbia profuso tutte le proprie capacità per far concludere positivamente la mediazione al fine di procacciarsi un cliente da difendere poi nelle aule giudiziarie.

L'obiettivo lodevolmente svolto dal Consiglio nazionale forense è evitare che la mediazione diventi strumento scorretto di procacciamento di clienti da parte dell'avvocato ed è ingiustamente riduttivo il ruolo che parte ricorrente tenta di affidare al mediatore (pur non negando, in effetti, l'importanza della sua prestazione) al fine di evidenziarne la connaturata neutralità.

Da rilevare ancora che l'inibizione è solo temporale, con la conseguenza che non è precluso per sempre, a chi ha saputo apprezzare le capacità dell'avvocato nella sua veste di mediatore, di rivolgersi, cessato il periodo di c.d. raffreddamento, allo stesso professionista perché presti in suo favore la prestazione di legale. Improcedibile è invece la censura secondo cui le disposizioni impugnate sarebbero viziate anche per contraddittorietà rispetto alle inibizioni individuate dall'art. 55 del Codice nei confronti dell'avvocato che svolge anche attività arbitrale. L'art. 55 è stato, infatti, modificato con delibera del 16 dicembre 2011 nel senso di introdurre previsioni analoghe a quelle del successivo art. 55 bis.
Nell'atto introduttivo del giudizio la disparità di trattamento era stata denunciata solo con riferimento all'attività dell'arbitro, con la conseguenza che inammissibile è l'estensione, con memoria non notificata, di tale denuncia con riferimento ad altre attività (quale quella di giudice tributario e di giudice di pace, rispetto alle quali, peraltro, il regime di incompatibilità è molto più rigoroso, anzi totale).

7. Il quinto motivo censura le predette previsioni nella parte in cui si estendono anche ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino negli stessi locali.

Tale motivo è infondato nella parte in cui deduce la disparità di trattamento con l'avvocato che svolge anche attività di arbitro. Ed infatti i limiti posti, nell'assunzione di rapporti professionali con una delle parti, dal canone quarto dell'art. 55 all'avvocato che ha svolto l'incarico di arbitro si estendono anche '"ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino negli stessi locali".

8. La seconda censura dello stesso quinto motivo deduce l'illegittimità della previsione per violazione dell'obbligo di riservatezza previsto dall'art. 9, d.lgs. n. 28 del 2010.

Il motivo è privo di pregio atteso che il comma 1 del citato art. 9 pone in capo ai mediatori un obbligo di riservatezza con riferimento "alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo". Nessuna violazione del dovere di riservatezza ricorre, dunque, nel comunicare i soli dati anagrafici delle parti della mediazione, senza alcun cenno all'oggetto della mediazione. Aggiungasi che tale previsione non è affatto nuova, essendo stata prevista dallo stesso Codice già agli artt. 37, canone 2, e 55, senza che si sia mai dubitato della sua conformità con i principi generali dell'ordinamento.

9. Il sesto motivo deduce l'illegittimità della stessa previsione perché ingiustamente penalizzante nei confronti dei professionisti soci, associati ovvero che esercitino negli stessi locali. La disposizione preclude infatti ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino negli stessi locali dell'avvocato-mediatore di intrattenere rapporti professionali con una delle parti nei casi previsti dal canone terzo, lett. a) e b).

Anche questo motivo non è suscettibile di positiva valutazione.
Partendo dal presupposto che la ratio sottesa a tale previsione è la stessa che ispira l'intero art. 55 bis (e sulla quale è stato argomentato sub 1), appare evidente che tra l'avvocato - mediatore e i colleghi di studio può sussistere un collegamento, con la conseguenza che i rischi che il connotato dell'imparzialità venga meno, già evidenziati sub 5, possono verificarsi anche se l'attività di legale non è svolta direttamente dall'avvocato mediatore, ma da un collega di studio (socio, associato o semplicemente esercitante l'attività negli stessi locali).
Non può negarsi che la previsione è penalizzante per il collega di studio dell'avvocato - mediatore, ma la ragione della sua previsione, accompagnata dalla sua durata limitata nel tempo (nel caso sub a del canone terzo), la rendono legittima.

10. Non è suscettibile di positiva valutazione il settimo motivo di ricorso, alla luce delle argomentazioni svolte sub 1 per dimostrare la ratio sottesa all'art. 55 bis del codice deontologico, che non è affatto di penalizzare l'attività di mediazione ove svolta dall'avvocato quanto, piuttosto, di evitare che il cumulo di professioni così diverse in capo allo stesso soggetto-avvocato possa avere riflessi sul piano deontologico, a discapito della categoria e, soprattutto, degli utenti del servizio forense.

11. Non è infine condivisibile l'assunto di parte ricorrente secondo cui le limitazioni imposte dall'art. 55 bis all'avvocato che svolge anche funzioni di mediatore violerebbero i principi comunitari in materia di libera concorrenza. Ed invero, la preoccupazione principale del CNF è stata proprio quella di garantire la libera concorrenza fra gli avvocati, imponendo ad essi obblighi preordinati ad evitare che l'associazione "avvocato-mediatore" diventi facile strumento per l'accaparramento della clientela, che è risultato agevolmente realizzabile se non fronteggiato in via preventiva con adeguate misure. La circostanza che solo il Consiglio forense sia intervenuto, imponendo regole di condotta pre e post incarico, e non anche altri ordini professionali interessati, non è affatto pregiudizievole per gli avvocati, ma al contrario pone la maggioranza al riparo da possibili iniziative scorrette di un'eventuale minoranza. Né, sempre sul piano concorrenziale, le prescrizioni in questione danneggerebbero la categoria degli avvocati rispetto ad altre categorie professionali, siccome sostiene la ricorrente, la quale trascura il dato elementare che la scelta del mediatore è funzionale alla materia del contendere che s'intende comporre e alla specifica competenza che si pretende in chi è chiamato a svolgere questa funzione, sicchè è irragionevole il solo supporre che per il soggetto, coinvolto in una vicenda che richiede una specifica competenza giuridica, sia indifferente sostituire l'avvocato con il geometra o con il commercialista.

Va da ultimo osservato che fra le misure adottate dal CNF, che la ricorrente qualifica "restrittive", non c'è ad avviso del Collegio una sola che comporti un'irragionevole limitazione dell'attività dell'avvocato - mediatore, tutte al contrario trovando piena giustificazione nell'esigenza avvertita dal Consiglio di prevenire possibili abusi che, oltre a compromettere la libera concorrenza all'interno della classe forense determinerebbero discredito a carico della stessa. Ciò vale anche per l'inibizione fatta dall'art. 55 bis all'avvocato mediatore di ospitare nel proprio studio professionale la sede dell'organismo di mediazione ovvero di allocare nella sede di quest'ultima il proprio studio, che la ricorrente contesta anche sotto il profilo dei costi che essa comporta sia per il legale che per l'organismo, e che invece costituisce una misura obbligata nella politica di prevenzione coltivata dal Consiglio.
12. Nella memoria depositata il 26 maggio 2012 il CNF ha chiesto a questo giudice di sollevare dinanzi alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 lett. b), d.lgs. n. 28 del 2010, per violazione dell'art. 76 Cost. per eccesso di delega. Ad avviso del Consiglio Nazionale Forense detto articolo, stabilendo che è mediatore "la persona o le persone fisiche che ... svolgono la mediazione" nell'ambito di un "ente, pubblico o privato, presso il quale può svolgersi il procedimento di mediazione" contrasta con il criterio direttivo fissato dalla legge delega (art. 60, comma 3, lett. b, l. 18 giugno 2009, n. 69), che invece stabilisce che "la mediazione è svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all'erogazione del servizio di mediazione".

La richiesta del CNF non può essere accolta, non essendo la questione sottoposta rilevante al fine del decidere il ricorso proposto contro l'art. 55 bis del Codice deontologico. Ed invero, in relazione all'unico motivo accolto - rispetto al quale soltanto sussisterebbe l'interesse a sollevare la questione di legittimità costituzionale - il Collegio non ha fatto applicazione della norma tacciata di illegittimità costituzionale quanto, piuttosto, dei principi generali dell'ordinamento in tema di rapporto tra fonti (sulla manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale di una norma nel caso in cui il giudice a quo dichiari la risolvibilità della controversia indipendentemente dalla suddetta questione si è espressa, da ultimo, Corte cost., ord., 12 gennaio 2012, n. 5).

Dei due presupposti necessari perché il giudice a quo possa rimettere la questione di costituzionalità al giudice delle leggi (rilevanza e non manifesta infondatezza) è dunque carente la prima, con la conseguenza che a questo giudice è precluso anche l'esame della non manifesta infondatezza.

13. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere accolto nei limiti sopra indicati.

La soccombenza solo parziale e la novità delle questioni sottoposte al vaglio del giudice giustificano l'integrale compensazione fra le parti costituite delle spese e degli onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e per l'effetto annulla il primo comma dell'art. 55 bis del Codice deontologico forense.

Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Italo Riggio, Presidente
Maria Luisa De Leoni, Consigliere
Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore

Depositata in segreteria il 29 ottobre 2012

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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